TOSCANA – Lavoratrici di call center che temono di essere remotizzate a vita; bancarie messe sotto stress dall’informatizzazione di qualunque procedura, insegnanti alle prese con le difficoltà dio connessione ai tempi della DAD, impiegate del settore pubblico sotto stress nel tentativo di recuperare i ritardi della PA accumulati nel lockdown.
Sono solo alcune delle situazioni più critiche che emergono da “Lavorare da casa durante la pandemia”, studio – il primo del genere – commissionato da Cgil Toscana sull’impatto dello smart working sulla popolazione lavoratrice femminile: un rapporto, quello tra donne e lavoro a distanza, che in base a quanto viene fuori dalle interviste realizzate dalla ricercatrice Sandra Burchi presenta nuovi rischi oltre a nuove opportunità. Tra le criticità maggiori, il tema della volontarietà / imposizione del lavoro in remoto da parte del datore di lavoro; la mancanza di socialità; la difficoltà di conciliare tempi di vita e lavoro in ambiente domestico.
“Lo smart working può rappresentare un elemento positivo con ricadute anche sul benessere della comunità si pensi solo alla riduzione dell’inquinamento” ha dichiarato Dalida Angelini, segretaria generale Cgil Toscana: “E’ importante però che sia regolamentato tramite la contrattazione, e a patto che vengano rispettati i diritti, vecchi e nuovi, delle lavoratrici: dalla volontarietà della scelta al diritto alla disconnessione”
Sulla contrattazione di tempi e modalità ha insistito anche Barbara Orlandi, del coordinamento Donne Cgil: “Il rischio è che succeda quanto avvenuto con il part time: prima chiesto e non concesso, poi imposto a forza”
