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Freepass - 10 ottobre 2025
Margherita Cioppi, capomissione barca “Karma”, Global Sumud Flottilla – 13 ottobre 2025
Micaela Frulli, docentediritto internazionale – 13 ottobre 2025
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FIRENZE – Oltre due giorni e mezzo di detenzione nelle carceri di Israele, in celle affollate, senza acqua corrente, senza medicine, sottoposte alla privazione del sonno, e ad altre violenze psicologiche e ambientali, senza poter comunicare con avvocati e autorità consolari. E’ il racconto dei giorni passati in stato di fermo da Margherita Cioppi, una delle partecipanti alla Global Sumud Flotilla, come capomissione della ” Karma”, la barca del progetto Arci TOM – Tutti gli occhi sul mediterraneo, , ospite stamani a Novaradio.
Due giorni e mezzo circa, dall’abbordaggio la mattina del 2 ottobre, fino al rilascio con l’imbarco su un volo per la Turchia e il rientro in Italia: giorni in cui ha vissuto momenti durissimi, ma durante i quali non sono mancati momenti di orgoglio: come quando, ad un certo punto, in cella detenute di tante nazionalità diverse si sono ritrovate a cantare assieme “Bella Ciao”, in segno di protesta contro la detenzione illegale.
Le violenze sono iniziate fin dal momento dello sbarco in territorio israeliano dopo l’abbordaggio e il dirottamento della barca da parte delle squadre speciali dell’IDF: “Ci sono state perquisizioni corporali per cui c’è stato anche da dover sindacare che fossero le donne a farle alle donne. Eravamo già divisi tra uomini e donne e diciamo che non avevamo minimamente cognizione di dove fossero i nostri compagni, i nostri equipaggi di sesso opposto”
Poi la detenzione in carcere: “Non immaginiamoci la caserma Diaz o Bolzaneto (quelle del G8 di Genova 2001, ndr), abbiamo visto che sono state negate medicine e cure salvavita alle donne in cella con me nelle altre celle. C’era una crisi respiratoria molto importante che è andata avanti per ore prima di ricevere finalmente un Ventolin. Non c’era acqua, l’acqua che veniva fuori dai rubinetti delle celle era marroncina, molto calda. Quando chiedevamo dell’acqua le soldatesse aprivano una bottiglietta e ce la svuotavano ai piedi”. “Abbiamo visto l’interruzione del sonno costante, ogni ora e mezza entravano i commando se ci svegliavano tutte”.
“Nella cella in cui ero sono stata eravamo in cinque inizialmente, su una cella da cinque, dopo 10 ore eravamo in 15: con me c’erano due attiviste malesi un’avvocata per i diritti umani turca insieme a una avvocata per i diritti umani curda, le marinaie spagnole, c’era una donna francese, due irlandesi, una scozzese, eravamo praticamente un piccolo ecosistema in qualche modo di donne resistenti”. Che ad, certo punto, ha avuto la forza di reagire: “C’è stato un attimo in qualche modo di rivendicazione, con canti che non potevano essere che non potevano essere zittiti”, per “essere ascoltati dai prigionieri e le prigioniere palestinesi, che abbiamo scoperto essere nella stessa prigione”. E la canzone è stata “Bella Ciao”, da anni ormai divenuto inno internazionale alla libertà. Margherita racconta dice di aver visto “giovani attiviste malesi che si commuovevano cantando Bella ciao in italiano dopo che che l’avevamo scritta con un pezzettino di cemento sul muro della cella per poter avere un testo davanti. Ovviamente forti del nostro privilegio perché sappiamo anche che in quella prigione ci sono più di 16.000 palestinesi che a differenza nostra non non vengono maltrattati, vengono vengono torturati tutti i giorni”.
Al terzo mattino, il trasferimento verso l’aeroporto di Aquaba da dove è stata trasferita con altri in Turchia: “Solo allora abbiamo saputo che gli altri delle Karma stavano bene”. Infine in Italia, con la possibilità di riabbracciare i propri cari e rendersi conto di quel che l’attacco alla “Flotille” aveva generato come reazione nell’opinione pubblica: “Questa cosa è stata potentissima, sembra che finalmente ci sia stato quel click, quello scatto di movimento per cui la gente sa che può fare qualcosa, le persone riprendono la propria autodeterminazione a protestare, occupando di nuovo quelli che sono i luoghi che ci siamo disabituati a vivere: le piazze, le città, i paesi”. “Forse è la volta buona in cui tutti si rendono conto che no, fare la propria parte non è inutile, anzi è l’unico modo per vivere in democrazia. La Flotilla non è la fine di qualcosa, ma è l’inizio”.
Margherita Cioppi, assiema ad altri due attivisti a bordo delle barche della Sumud Flotilla, Maso Notarianni e Marco Orefice – saranno stasera dalle 19 per una assemblea aperta “Con la Flotilla, per la Palestina” al Circolo Arci “Il campino” di via delle Panche a Firenze.
“Siamo con il diritto al al rovescio, perché tutto quanto abbiamo visto è avvenuto in uno scenario di forte illegalità” è il commento di Micaela Frulli, docente di diritto internazionale all’Università di Firenze: anzitutto, spiega l’abbordaggio è avvenuto in acque internazionali, dove vige la libertà di navigazione, in più a danno di una nave che portava aiuti umanitari, in forza di un blocco navale che Israele rivendica ma che “è stato a più riprese definito illegittimo perché completamente sproporzionato e ha causato danni eccessivi alla popolazione civile”.
“Gli stati di nazionalità dei cittadini e delle navi – dice ancora Frulli – avrebbero dovrebbero chiedere spiegazioni a Israele per le violazioni compiute ai danni dei propri cittadini e delle proprie imbarcazioni e chiedere risarcimenti. Si configurano sia violazioni del nostro codice penale sia violazioni di norme internazionali specifiche come la Convenzione sul diritto marittimo del 1988. Vediamo se la procura aprirà un processo per sequestro di persona e di beni. Certo che le indagini, soprattutto quelle penali, si sa, bisogna farla con la collaborazione delle autorità, in questo caso le autorità israeliane, dubito che collaboreranno con le procure italiane…”
Scritto da: Redazione Novaradio
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